Ti hanno vista sullo Stige,
avvolta in bianche tele
tra anime dannate
e cumuli d’ossa e pelli.
Esiliavi l’ultima scheggia
dei tuoi occhi là,
dove l’epigono d’Erebo e Notte
travasa gli inferi negli inferi
indugiando sulla porta
concava del senno.
Da un improbabile palcoscenico,
congiungevi i resti di un tempo
residuo, in cui allevare il frutto
dell’abiura.