Autore Topic: Invito al commento - Black Mooses di Luca Falangone  (Letto 1470 volte)

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Offline Duilio Martino

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Invito al commento - Black Mooses di Luca Falangone
« il: Sabato 8 Novembre 2014, 23:56:24 »
Nel leggere Poesie di autori stranieri (tradotte in italiano)... molto spesso si perdono i suoni (senza dire della metrica se il testo è in metrica). Mi resi conto della notevole differenza qualche decennio fa quando comprai un libro di Poesia di Antonio Machado ( - Las orillas del Duero -...mi pare fosse questo il titolo) dove  molto opportunamente oltre alla traduzione in italiano era riportata la versione originale in "castellano"...
Pertanto vi propondo questa poesia di un Autore (ai più probabilmente sconosciuto) che però, a mio parere, ha grande qualità...
Un modo di scrivere  che a me piace anche perchè non rinuncia alle figure retoriche e ai suoni che sono molto più apprezzabili nella versione in lingua inglese.
Che ve ne pare?

BLACK MOOSES

Mine are black mooses
of ardent fabrics,
sparks which spread
in purple labyrinths.
Follow me tonight
when the sun is low,
you'll see as you turn
harmless daggers
in looks which wound.
Woods of winged shadow woo
tulips with copper eyebrows,
seductive lips of sepia
are the gold
we're looking for
in a blue river
without more borders.

TRADUZIONE

Le mie sono alci nere
di tessuti ardenti,
scintille che si propagano
in labirinti di porpora.
Seguimi questa sera
quando basso è il sole,
vedrai come si tramutano
innocui pugnali
in sguardi che feriscono.
Boschi di ombre alate
corteggiano tulipani
con sopracciglia di rame,
seducenti labbra di seppia
sono l'oro che cerchiamo
in un fiume azzurro
senza più confini.

Offline Antonio Terracciano

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Re:Invito al commento - Black Mooses di Luca Falangone
« Risposta #1 il: Domenica 9 Novembre 2014, 14:01:50 »
Conosco troppo male l'inglese per permettermi di giudicare quale delle due versioni sia preferibile.
Sottolineo soltanto che una poesia tradotta, come una prosa tradotta (soprattutto se dallo stesso autore) , sono comunque cose diverse dall'originale.
Quando un autore sente il bisogno di tradurre se stesso (a meno che non lo faccia esclusivamente per far capire il contenuto a chi non conosce una certa lingua) , lo fa per esigenze psicologiche intrinseche, per una specie di sdoppiamento della personalità, e ne ricava sempre qualcosa di diverso.
Gli esempi letterari più famosi del Novecento sono forse quelli datici da Samuel Beckett, che traduceva se stesso dall'inglese al francese (o viceversa) .
George Steiner, grandissimo critico letterario, così scrive a proposito di Beckett (in "Dopo Babele. Il linguaggio e la traduzione" , ed. Sansoni, 1984, pag. 466) : "Il trasferimento è impeccabile [si tratta di un brano di "Finale di partita" ] (...) Eppure le differenze di cadenza e di tono sono notevoli. L'inglese scende e si smorza tramite i suoni lunghi della 'o' ; il francese procede a spirale fino a una nota nervosa conclusiva. Si provi a disporre i due brani l'uno accanto all'altro, e ne risulterà un effetto singolare. Rimane il loro squallore claustrale, ma la distanza che li separa è sufficiente a creare un senso di liberazione, di alternativa quasi irresponsabile. 'That rising corn' e 'ce blé qui lève' (quel grano che spunta) parlano di mondi abbastanza diversi da consentire alla mente spazio e stupore assieme. "