Ho letto ultimamente, e un po' distrattamente, in un sito letterario di "Internet" , digitando "differenza tra poesia e prosa" , un divertente e significativo aneddoto preso da un articolo di Umberto Eco.
Eugenio Montale aveva scritto una bellissima poesia in cui nominava un fiore: essa era entrata nel cuore di una sua amica. Un giorno, passeggiando col poeta in campagna, questa amica si fermò estasiata davanti a quel fiore. Montale restò indifferente, e dopo un poco disse soltanto: "Bello, questo fiore. Sai per caso come si chiama? " L'amica restò alquanto esterrefatta e delusa! "Come, - gli disse - la tua poesia da me preferita è proprio quella in cui parli di questo fiore, ed ora non lo riconosci? " Montale, un poco imbarazzato, le disse che aveva semplicemente trovato il nome di quel fiore in un dizionario, e che l'aveva scelto perché suonava bene.
Eco, a questo punto, propone una teoria per distinguere la poesia dalla prosa. La prosa (il racconto, il romanzo) deve essere scritta da chi conosce molto bene l'argomento trattato: il lettore apprenderà cose spesso prima da lui sconosciute, ma potrà aggiungere poco di suo; la poesia, invece, nasce essenzialmente dall'amore per certe parole, evocando le quali il poeta sarà in grado di mettere i lettori nelle condizioni di dare a quelle parole le interpretazioni più diverse e personali.
Certo, Eco ha un po' troppo semplificato (e Montale aveva francamente un po' esagerato: nel mio piccolo, anch'io amo la ricerca delle belle parole, ma non al punto di trovarne certe del tutto estranee alle mie conoscenze) , ma c'è, credo, un fondo di verità in ciò che egli ha scritto (Paul Valéry diceva che il primo verso ai poeti lo danno gli dei) . Del resto, aggiunge Eco, un romanzo che, almeno nell'incipit, segue certe regole poetiche ("Quel ramo del lago di Como" è un perfetto novenario... ) si fa meglio gustare e ricordare.