Sono tutt'altro che un conoscitore della lingua giapponese, ma so vagamente che essa funziona più o meno come la nostra, cioè ha le parole divisibili in sillabe, in cui l'accento cade sulla penultima sillaba: quindi non ci dovrebbero essere grossi problemi per la composizione di haiku in italiano.
Piuttosto il problema sta più nell'interpretazione, in quanto essi, legati come sono ad una filosofia (zen) ben distante dalla nostra, non hanno alcun significato al di là di quello letterale.
Scriveva Roland Barthes, ne "L'impero dei segni" (Einaudi, 1984, pagg. 80-84) : "Pur essendo del tutto intelligibile, lo haiku non vuole dire nulla, ed è per questa doppia condizione che esso sembra offerto alle interpretazioni in un modo particolarmente disponibile, servizievole, come un ospite cortese, che vi permette di installarvi comodamente in casa sua, con le vostre manie, i vostri valori, i vostri simboli (...) Avete il diritto, suggerisce lo haiku, di essere futile, breve, ordinario; racchiudete ciò che vedete, ciò che sentite, in un minimo orizzonte di parole, e saprete interessare (...) Nemmeno un tratto che, nel commento occidentale, non venga investito di una valenza simbolica. O meglio, si vuole ad ogni costo intravvedere nella terzina dello haiku (i suoi tre versi di cinque, sette e cinque sillabe) il disegno di un sillogismo in tre tempi (la posizione, la sospensione, la conclusione) (...) Beninteso, se si rinunciasse alla metafora o al sillogismo, il commento diventerebbe impossibile: parlare dello haiku sarebbe semplicemente ed esattamente ripeterlo (...) Le vie dell'interpretazione non possono dunque che sciupare lo haiku, perché il lavoro di lettura che vi è connesso è quello di sospendere il linguaggio, non di provocarlo: impresa di cui per l'appunto il maestro dello haiku, Basho, sembrava conoscere bene la difficoltà e la necessità:
Come è ammirevole
Colui che non pensa:
'La vita è effimera'
Vedendo un lampo. "