Autore Topic: Ritorno a L'Infinito  (Letto 1350 volte)

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Offline Angelo Ricotta

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Ritorno a L'Infinito
« il: Lunedì 21 Giugno 2010, 21:11:36 »
Girando su Internet ho trovato due manoscritti de L'Infinito. Il secondo in basso viene dato come seconda stesura mentre il primo, dal tipo di correzioni che vi sono annotate, è una versione precedente, non so però se sia effettivamente la prima. Nella precedente versione "l'ultimo orizzonte" appare come correzione di "celeste confine": qualcuno può confermare se questa è la scrittura giusta in quanto la parola "celeste", da me così interpretata, è confusa? Interessante è anche la sostituzione di "un infinito" con "interminato" senz'altro più bello, però nella versione a stampa leggo "interminati", secondo me ancora meglio.  Inoltre nei due manoscritti appare la correzione "infinità" in luogo di "immensità" la quale ultima invece viene ripristinata nella versione a stampa! Insomma la versione a stampa a me pare la più perfetta ma mi chiedo quando ha fatto Leopardi queste ultime correzioni? Esiste un manoscritto definitivo?
Ora alcune questioni formali. In "...questa siepe, che da..." la virgola non dovrebbe esserci in quanto leggo da una grammatica che il pronome non va mai isolato con segni di interpunzione dal nome cui si riferisce. Anche le virgole e i punti a fine versi mi lasciano perplesso. A che servono? Il verso stesso definisce una sospensione. Personalmente eliminerei altre virgole nel mezzo del testo che, a mio parere, non aggiungono nulla alla chiarezza del testo. Infine non mi è chiara la funzione della maiuscola all'inizio di ogni verso almeno dei manoscritti. Che ne pensate?

Offline Stefano Toschi

Re: Ritorno a L'Infinito
« Risposta #1 il: Sabato 26 Giugno 2010, 14:54:13 »
Ciao Angelo. :)

Riguardo alla questione dei manoscritti non so esserti utile, riguardo al resto provo a risponderti.

1) Virgola davanti al "che" relativo: riporto due citazioni dal sito della Crusca che mi sembrano utili a chiarire e a relativizzare il problema.

Le frasi relative cambiano valore (e senso) a seconda che siano separate o meno con una virgola dalla reggente: gli uomini che credevano in lui lo seguirono cioè ‘lo seguirono solo quelli che credevano in lui’ è una relativa limitativa; gli uomini, che credevano in lui, lo seguirono, ovvero ‘lo seguirono tutti gli uomini perché credevano in lui’, è una relativa esplicativa.
(http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=5534&ctg_id=44)

Storicamente, la necessità di un sistema interpuntivo nasce dopo l’invenzione della stampa come spiega Marco Biffi (La Crusca per Voi, n° 24, 2002, pp.14-17); nonostante questo, la punteggiatura ha continuato ad essere un terreno particolarmamente fluttuante, condizionata da abitudini tipografiche di volta in volta differenti, errori e decisioni personali prese dal tipografo o dall’autore stesso. Fra i vari tentativi di normalizzazione fatti nel corso dei secoli, uno dei più importanti ai fine della nostra indagine fu intorno all’uso della virgola prima delle congiunzione coordinativa e subordinativa, o di un pronome relativo, ad esempio prima di e e che; intorno a questo fenomeno si è passati da una rigida obbligatorietà ad una progressiva caduta: se nel Cinquecento i testi erano punteggiati di virgole prima di ogni congiunzione, nel Seicento si assiste ad una considerevole riduzione di questa pratica, mentre nel Settecento la moda dello “stile spezzato” in frasi brevi favorisce l’interpungere ritmico, quindi ritroviamo nuovamente l’uso della virgola prima della congiunzione; nell’Ottocento la pratica scolastica porta nuovamente alla censura del fenomeno (anche se non è raro ritrovarlo in autori come Manzoni e Leopardi, del quale basta ricordare l’uso della punteggiatura ne L’infinito); il Novecento è caratterizzato da una punteggiatura più in funzione ritmico-melodica, ma anche dalla sua completa assenza (si pensi ad un movimento letterario come il Futurismo). Come possiamo capire dal quadro qui brevemente delineato, il problema della punteggiatura in generale, e della virgola in particolare, è ed è sempre stato piuttosto complesso. La situazione attuale  è altrettanto varia e impervia, anche se è connotata da una più ampia libertà: l’uso della virgola - soprattutto prima della congiunzione e - pare essere vincolato piuttosto dai tipi di testo che si intendono produrre e dai mezzi di comunicazione che si usano per comunicare (si pensi all’uso dell’interpunzione in un mezzo come Internet).
(http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=6234&ctg_id=93)

2) Riguardo alla punteggiatura al termine dei versi.
L'interpretazione della suddisvisione in versi come introduzione di pause è soltanto una delle interpretazioni possibili, anche in questo caso, comunque, niente vieta che questo tipo di pausa si aggiunga e non sostituisca quelle determinate dalla punteggiatura.
D'altra parte la suddivisione in versi può avere una valenza metrica (L'infinito è in endecasillabi sciolti).
In ogni caso la scelta di sostituire i capoversi alla punteggiatura è un ascelta stilistica ben precisa e non c'è nessuna regola che lo imponga, anzi, di norma, ciò non avviene.

3) Maiuscole a capoverso.
Si tratta di un uso che era pressoché generalizzato nel corso dell'ottocento. Andando a capo volontariamente, non per necessità (perché è finita la riga a disposizione), si riparte con la maiuscola. Quale sia l'origine di questa abitudine non so dirti, ma credo che tutt'oggi si possa considerare del tutto corretto farlo.
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)