Sei quartine di versi brevi, prevalentemente settenari, le prime quattro strofe sono alternativamente a rima incrociata e alternata, la quinta è a rima baciata, di nuovo alternata la sesta.
Nelle prime strofe la successiva riprende una locuzione che concludeva la precedente, come in un flusso per associazione di idee: “ch’è olio”, “cedo”, “umido”.
Ma per tutta la poesia le immagini si susseguono come generate l’una dall’altra in un fluire spontaneo, in un abbandono progressivo, ed anche i versi scorrono con suadente malinconia partendo da un nucleo centrale, che continuamente ritorna: un placido paesaggio mediterraneo colto attraverso i suoi colori, i suoi odori, i suoi suoni.
Ripercorriamo le strofe più dettagliatamente.
Un sole mattutino, estivo, rischiara gli scogli e tinge di un azzurro limpido il cielo ed un mare calmissimo, che le fronde degli ulivi sembrano voler toccare.
Ed ecco la prima associazione: il mare è già un “olio” e sembra aspettare che gli ulivi, produttori d’olio, vi si versino.
Trovo in questa immagine un senso di armonia universale ed anche un anelito al perdersi del particolare, del definito, del terrestre ulivo, nell’immenso, nell’indefinito, nella calma pace del mare.
A conferma di ciò, nella seconda strofa, la fusione dell’autrice-ulivo con l’olio-mare si realizza, attraverso un’unzione dalle reminiscenze biblico-orientali e religiose, in una “cresima d’amore”.
Il sentimento si libera, la pena per l’amore perduto (dal contesto ritengo si tratti di una persona che non c’è più) si risolve in pianto, l’unione con il colare dell’olio diviene più intensa e così l’identificazione con il mare, delle sue calme onde con il fluire del pensiero.
L’annegamento si fa, via via, più sensuale: i sensi si inebriano del profumo dei pini (dai quali si ricava un altro olio essenziale), il vento è carico di essenze e si trasforma in coppe di prelibati vini offerti dal cielo; ed ecco che appare il “tu”: l’oggetto del perduto amore.
La perdita si concretizza nell’immagine di un “ramo storto”, segno di qualcosa che sarebbe dovuto essere diversamente (dritto), e tornano le immagini religiose della preghiera e dell’anelito al mare, all’immenso.
In questo naufragio dei sensi e del pensiero nell’armonia del cielo e del mare, in questo perdersi del frammento nell’immensità del tutto, ecco che la perdita non è più tale: “Dunque non eri morto!” e l’amore, un tempo perduto, torna ad essere possibile.
Una poesia d’amore, dunque, sotto la cui superficie mi pare di riconoscere un forte sentimento mistico-religioso, intendendo ciò nel senso più ampio possibile: nel senso, cioè, di un anelito all’unione con l’eterno, a sciogliere il limite nell’illimitato.
Così l’ho letta io. Invito tutti quelli che vogliono esprimere una loro considerazione, una loro interpretazione o anche solo una loro emozione riguardo a questa poesia a farlo.