Autore Topic: Apollo e Dafne  (Letto 1680 volte)

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Offline Francesco Pozzato

Apollo e Dafne
« il: Venerdì 26 Settembre 2008, 10:58:35 »
ciao sono di nuovo io: il classicista che sta sulle scatole a tutti per il suo modo di scrivere ahahhahah no dai scherzo, sono qui per un motivo serio..la mia ultima poesia Apollo e Dafne è qualcosa ke ho sentito veramente come parte integrante della mia mano. come dicono gli scultori (l'opera è prigioniera del marmo) così la poesia era prigioniera della mia mano e alla fine dopo un intenso giorno intero di lavoro sono riuscito a finirla..beh chi non conosce la storia di Apollo e Dafne??!!! spero nessuno, cmq ciò che vorrei sapere è come la trovate!
vi chiedo gentilmente di darmi un quadro completo del testo: insomma criticatela in ogni suo verso allo scopo di migliorare la mia scrittura pessima per alcuni, sontuosa per me stesso (megalomane!!!ahahhaah) eccovi il testo:
Francesco, scudiero dei classici

Offline Francesco Pozzato

Re: Apollo e Dafne
« Risposta #1 il: Venerdì 26 Settembre 2008, 11:00:00 »
Scintillavan l’acque azzurre del fiume
e parea la Natura godere 
dei fendenti rai de l’estivo
Sol. Come non mai superbo, andava
Febo Apollo: l’arco teso, scoccata
la freccia, avea sì Pitone l’Ade
raggiunto. Avendo da lungi Cupido
scorto maneggiar arco e dardi, fece
il Figlio di Latona: “Codeste armi
a le mie spalle s’addicon, Picciol,
a me che fiere ed avversari abbatto,
a me che sì poco armato Pitone
uccisi. Ai fiammeggianti cor mente
poni, non a le mie lodi, Picciol!”
“Possente il tuo arco, o Febo, carne
trafigge ed ossa. Immortale qual Te,
è il Dio de l’Amore. La superbia
che il core sì ti fomenta, riponi,
ché pari mi sei. Ma il mio, il core
trafigge, che Tu Nume o Uomo sia.
Quanto i viventi a un Nume son minori,
sì è la tua gloria inver’la mia.”
Oltraggiato, l’ali sbatte Cupido
e del Parnaso la cima raggiunge.
Di qui, da la faretra due frecce,
di regal ferro l’una, di pesante
grigiore l’altra, estrae. Di questa
la dorata punta sfolgora aguzza,
di quella l’anima di piombo vale.
Con questa Dafne, la ninfa, trafigge,
con l’altra il core d’Apollo trapassa.
E tosto del bruciante Amor s’infiamma,
mentr’ella di Cupido il nome scansa.
Tra i boschi, qual fosse Diana, corre
e de la visione de le sue fiere
abbattute la cacciatrice gode.
Eppur ella d’esser cacciata non sa,
d’esser d’un forte Nume preda ignora.
Al padre Peneo, placido fiume,
perpetua chiede verginità.
Ei acconsente, ma le membra di Dafne
al casto voto s’oppongono e Febo
l’ama. Unirsi a lei ardente desidera.
Francesco, scudiero dei classici

Offline Francesco Pozzato

Re: Apollo e Dafne
« Risposta #2 il: Venerdì 26 Settembre 2008, 11:01:55 »
Come da le stoppie metute, tosto
vita può ricever un novo foco,
sì in Apollo l’ardor del cor renova
la vista de la bella ninfa, lungi
un rivo, sorseggiante spensierata.
I capei verdeggianti contempla,
ammira le sinuose membra a l’aria:
mani decanta e piedi e labbra e occhi
e l’ascose parti dal velo immagina.
Ma ella, simil a l’alito di vento,
fugge: “Chi fuggi, tu non riconosci!
Son Apollo, Giove è il padre mio,
passato, presente svelo e futuro,
il mio bel canto a la cetra accordo,
io son medico e malati guarisco,
son terribil cacciator ed arciere,
su vaste terre il dominio estendo.
Ma non son tuo nemico. Io t’amo!
Rallenta: corri su vie impervie!
Sì innanzi al feroce lupo l’agnella,
ad Achille il Troiano, a l’aquila
il bianco coniglio, sì tutte innanzi
al nemico: ma per amor t’inseguo!
Non sia mai che la mia rincorsa,
frutto d’amor, dolore ti procuri!
Ed ella fugge, sì terrorizzata,
e il vento le membra le discopre
e i capei le scompiglia la brezza.
Ma lui, su l’ali d’amore, alacre
corre e quasi l’afferra, ansimandole
sul collo, e quindi di novo ella fugge.
Oramai stremata, a le rive
de lo fiume giunge e d’esser dissolta
prega intensamente. Ancor ella prega,
quand’ecco che un torpore penetrante
la pervade tutta e le membra muta:
il petto in sottili lignee fibre,
i capelli in sì verdissime fronde,
i piedi sì lesti in dure radici,
il volto in una chioma svanisce:
d’un tempo solo lo splendor conserva.
E Apollo l’abbraccia e la bacia:
Dafne è ora la sua pianta sacra,
sempre la sua cetra orna, i capei
e la faretra; simbolo d’onore
e di vittoria pei Latini.
Giovane la chioma intonsa d’Apollo,
sempre sì verdi le foglie di Dafne,
di lì innanzi denominata alloro.
Tacque Febo, i rami scosse la pianta,
quasi che col proprio capo assentisse.
Francesco, scudiero dei classici

Offline Stefano Toschi

Re: Apollo e Dafne
« Risposta #3 il: Venerdì 26 Settembre 2008, 14:03:49 »
Ciao Francesco, a quanto pare tocca a me cominciare a cavillare sulla tua poesia!
Allora… Dopo qualche esperimento (niente male) “modernista” nel quale si intuisce comunque la vena classicheggiante (per esempio: Rimpianto di un Mondo svanito,  Proposta D’Amore), sei tornato, con questa poesia che potremmo definire “neoclassica”, al tuo vecchio amore.
Ribadisco che a me dà l’impressione di essere un modo di interpretare la poesia che tende troppo all’imitazione e quindi risulta poco originale.
Ma si tratta di una scelta consapevole che deriva dalla tua concezione della poesia come forma espressiva artificiosa, ampollosa, retorica (in senso classico), senza naturalmente che questo impedisca al contenuto di essere sincero, attuale, carico di emozione.
Quindi non ritorno sopra a questo tipo di scelta e mi limito a qualche osservazione tecnica.
La poesia dovrebbe essere in endecasillabi sciolti, sul tipo delle traduzioni famose dell’Eneide o dell’Iliade, dovrebbe quindi a mio parere rispettare il più strettamente possibile le regole metriche stabilite dal classicismo, invece non è così.
Prendiamo i versi iniziali:

Scin/til/la/van / l’ac/que az/zur/re / del / fiu/me
e / pa/rea / la / Na/tu/ra / go/de/re 
dei / fen/den/ti / rai / de / l’es/ti/vo
Sol. / Co/me / non / mai / su/per/bo, an/da/va
Fe/bo A/pol/lo: / l’ar/co / te/so, / scoc/ca/ta
la / frec/cia, a/vea / sì / Pi/to/ne / l’A/de
raggiunto.

Contando le sillabe secondo le regole metriche ci sono dei decasillabi ed anche un novenario. Lo so che si possono ricondurre comunque ad endecasillabi, ma l’impressione che si ha alla lettura è quella di un certo zoppicamento.
Ho provato a riscrivere questi versi iniziali a modo mio (mi ci è scappata anche una rima, vabbè… è più forte di me), non ti sembra che suonino più solenni e rotondi?

Scintillavan l’azzurre acque del rivo
e parea dei fendenti rai del sole
la natura goder nell’aere estivo.
Come non mai superbo giva Apollo,
ché ‘l dardo suo mortale avea scoccato
per cui Pitone all’Ade se ne piange.
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)

Offline Francesco Pozzato

Re: Apollo e Dafne
« Risposta #4 il: Venerdì 26 Settembre 2008, 17:42:24 »
grazie stefano dell'attenta osservazione sui versi: si certo hai perfettamente ragione!!!
e poi rivo è certamente più solenne di fiume..

se per zoppicare intendi enjambement ben venga: è una figura stilistica molto usata da Foscolo e Leopardi no?
e poi anke i latini usano un verso tipicamente zoppicante il cosidetto verso scazonte: U-U-|U-U-|U--U (qst la strutt metrica)
aveva la particolarità di cambiare accentazione nell'ultima sillaba: infatti nella metrica latina porta l'accento della sillaba la vocale lunga (-).. spero ke qualcuno capisca qst excursus!!!!

cmq stefano grazie mille della critica spero di farla fruttare nella prox stesura
grazie ancora
« Ultima modifica: Venerdì 26 Settembre 2008, 17:44:06 da Francesco Pozzato »
Francesco, scudiero dei classici