Autore Topic: Patrizia Valduga  (Letto 2169 volte)

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Offline Stefano Toschi

Patrizia Valduga
« il: Sabato 17 Novembre 2007, 17:37:29 »
Credo possa essere interessante leggere insieme una poetessa contemporanea come Patrizia Valduga.
Non intendo fare una presentazione dell’autrice, che si può facilmente trovare in internet, do solamente qualche cenno biografico.

Nata a  Castelfranco Veneto nel 1953, ha compiuto gli studi universitari a Venezia, è stata la compagna del poeta Giovanni Raboni fino alla morte di lui (2004). Ha esordito nel 1982 con l’opera Medicamenta (Guanda, Milano). Vive a Milano.

Le sue poesie, spesso catalogabili nel genere erotico, si sviluppano sul binomio amore e morte.
Il linguaggio tende agli opposti estremi della letterarietà e dello sconcio, talvolta del comico. Interessante l’uso esclusivo di forme metriche chiuse, classiche, tanto da farne una capostipite del così detto neometricismo. Tutte espressioni attraverso le quali si manifesta l’io sradicato, infelice, emarginato della poetessa, ma più in generale dell’essere umano, sensazione acuita dall’esperienza della condizione femminile, e che si esprime ora nella ribellione, ora nell’autocommiserazione.

Quello seguente è il primo dei sonetti di Medicamenta.
Si sviluppa in una sorta di dialogo tra un lui ed una lei segnato da una sostanziale incomunicabilità sottolineata dall’alternarsi di espressioni liriche e di tono dialogico quasi volgare, ma che ben riesce a far partecipare il lettore dell’esperienza.

Nel luglio altero, lui tenero audace,
sensualmente a me lanciava da là:
prima di sera io ti scopo. Ah.
Fra trafficar di sguardi dove pace,
 
dove l'incompenetrabilità...
dove il tempo in quest'ombra... Lui tace
in un empio silenzio a farne fornace.
Poi apri, m'intima, apri... più dentro già
 
si spinge con suo tal colpo segreto.
Umidore, pare bacio di calore
su ammucchiarsi d'umano, alto m'accappia.
 
O inverni e lirici slanci (con metodo).
Mi sale... mi scende... io come granata
esplosa, contusa, to', che si sappia.


(da Medicamenta, Guanda, Milano 1982)
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)

Offline Stefano Toschi

Re: Patrizia Valduga
« Risposta #1 il: Sabato 17 Novembre 2007, 17:39:59 »
Come contraltare a questo sonetto vi propongo le prime tre ottave del poemetto Requiem (Marsilio, Venezia 1994) scritto in occasione della morte del padre (ventotto ottave, in tutto), successivamente ampliato con un ottava ad ogni anniversario fino al 2002.
Qui i toni si fanno più intimi e raccolti; si tratta di una sorta di monologo presso il letto del padre morente.

I
Anima, perduta anima, cara,
io non so come chiederti perdono,
perché la mente è muta e tanto chiara
e vede tanto chiaro cosa sono,
che non sa più parole, anima cara,
la mente che non merita perdono,
e sto muta sull’orlo della vita
per darla a te, per mantenerti in vita.

II
Oh padre padre, patria del mio cuore,
per tanto tempo solo col tuo male,
per giorni e giorni e notti di terrore,
come in una sequenza cerebrale
ti vedo, solo, solo e senza amore,
annegare tacendo nel tuo male
tra chi sa e capisce e non sa amare
e chi non sa capire, e non sa amare.

III
Che ore nere devi aver passato,
ore per dire anni, dire vita,
fino a questo novembre disperato
di vento freddo, di fronda ingiallita,
padre ingiallito come fronda al fiato
di tutto il vento freddo della vita,
dell’amore frainteso e disperato,
dell’amore che non ti è stato dato.

[…]


(da Requiem, Marsilio, Venezia 1994 e Einaudi, Torino 2002)

Per chi ha voglia, ecco il link ad una intervista alla Valduga:
http://www.dialogolibri.it/cont/interviste/valduga.html
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)