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Le sue prime raccolte di poesie (“Riflessi dell’occhio e della mente”,“Scampoli dell’iride” e “Un fiore tra le stoppie”) tendono alla ricerca della perfezione della lingua. In esse l’autore cerca di coglierne la musicalità, il colore, il valore delle espressioni dettate da stati d’animo intensamente vissuti in situazioni che galleggiano tra il reale e l’irreale.
In questa antologia l’autore ha voluto in parte sperimentare l’uso del dialetto di Magenta, dove è nato, cresciuto, vissuto fino a vent’anni, proprio per esaltare l’espressività e la freschezza degli argomenti trattati.
Soprattutto dalle composizioni che trattano della sua infanzia traspare il ricordo, forse un po’ nostalgico, per quei luoghi (Straa Castilasc), quelle persone (gli ambulanti di passaggio, i compagni di gioco, certe macchiette del rione come il “ciucat o il “bauscia) che la sua sensibilità ha selezionato dal filo della memoria rendendoli indelebili.
“Num sem inscì” è un titolo emblematico: l’autore vuol rafforzare il concetto che la “persona” si forma giorno dopo giorno attraverso emozioni e sentimenti del vissuto quotidiano e queste composizioni vogliono essere anche una personale ricerca di ciò che è stato importante per la propria “crescita”.
L’autore dedica quest’opera alla mamma Carlotta Negroni, una donna fiera, dalla tempra eccezionale, da poco scomparsa:
“Quante volte il tuo sorriso ha scacciato
il lamento per l’ostacolo e
con fierezza hai detto. “Avanti!”” |
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