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♦ Michelangelo Cervellera | |
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Chi si considera un poeta, non deve rendere nota la sua identità: perché essere poeti è, in fin dei conti, un viaggio dentro il proprio ego, è un viaggio eterno, che trova conforto soltanto nella scrittura. Non esistono aerei, ma solo parole, non esistono paesi, ma soltanto idee, non esistono culture, ma soltanto sentimenti. Perciò il poeta non è colui che crede di esserlo, ma colui che non si definisce tale. Se io sia o non sia un poeta sarà l'eternità a deciderlo: se il mio nome verrà pronunciato nei prossimi secoli vorrà dire che io, da morto, mi risveglierò, con il cuore in una mano e le mie poesie nell'altra. Se invece il mio nome verrà dimenticato e nessuno mai oserà leggere le mie blasfeme parole, vorrà dire che il mio cuore non smetterà di palpitare e l'inchiostro sulle mie mani non si asciugherà mai; le mie lacrime innaffieranno le patetiche piante che cresceranno sul mio sepolcro e sarà l'eterno silenzio ad accogliermi.
Potrei dirvi qualcosa su di me, ma il mio nome (come dice anche la Giulietta di Shakespeare) non identifica la persona che io realmente sono. E come la rosa, sebbene essa non venga chiamata così, emana comunque il suo fragrante e dolce profumo. Così sono io. Ma sarà sempre l'eternità a decretare se il mio fosse un profumo dolce o un profumo di dolore; se la mia fosse una rosa candida e fresca, o se essa fosse un fiore spinoso, lo stesso fiore che mi sta crescendo nel cuore...
Amo i sonetti, ma non mi considero un purista. Spesso non curo la metrica o la rima, perché le mie poesie rispecchiano la mia imperfezione. Sarebbe un'ipocrisia cercare di scrivere un sonetto perfetto, perché tale non potrebbe esistere. Io cerco soltanto di incastrare in una forma rigida le mie idee - che spesso sono molto confuse e distorte. Cerco di dare una forma a ciò che troppo molle ed impalpabile. Cerco di incatenare ciò che è troppo libero e troppo fugace. Cerco di creare dell'ordine laddove altrimenti ci sarebbe soltanto il Caos. Ma non pretendo nulla. Non credo - e mai ho creduto - di essere superiore agli altri. Mai ho avuto la pretesa di creare un qualcosa che possa perdurare nel tempo. Io sono come sono, e scrivo di ciò che sono. E cerco di incarcerare ciò che mi passa per la testa, affinché possa capire ciò che penso. Perché, spesso, ciò che penso non ha forma. Non ha volto alcuno. Ed è difficile assegnare un volto a qualcosa di impalpabile. I miei sonetti spesso non hanno la forma standard, spesso i loro versi non sono endecasillabi. Mi piace sperimentare, pertanto spesso uso dodecasillabi o versi di lunghezza mista. Similmente per le rime: a volte uso degli schemi tradizionali, a volte cerco di superare questi limiti.
Io so che il dolore che l'umanità prova è causato dall'ignoranza e dall'ipocrisia della società moderna. E questi sono anche i temi che cerco di introdurre nelle mie poesie. Poesie didattiche e riflessive, per lo più, che cercano di risvegliare in tutti noi quel sentimento di eternità viva, di vita eterna, di felicità immortale. Non sono pessimista, ma mi rendo conto che il realismo conduce ad una visione del mondo più scura, più macabra, quasi senza speranza. Ma la speranza c'è e sempre ci sarà. Se non nei nostri cuori, almeno nelle nostre poesie.
Ma la poesia non ha soltanto un'importanza didattica, come molti pensano. La poesia, così come la matematica, ci propone un mondo ideale, un mondo, dove nulla è perduto o dove ogni speranza è morta. Ci propone una visione completa, ma al tempo stesso imperfetta, una visione di ottimismo, ma sempre condita dal pessimismo, ci presenta il giorno, ma anche la notte, l'uomo e la donna, l'infinito ed il finito, yin e yang, suono e silenzio, amore ed odio, eterno e mortale. La poesia è un'utopia, ma io voglio essere travolto da essa, sebbene solo per un gelido e fermo istante. E sarà allora, quando il mondo cambierà, che la mia anima sarà investita da un momento di eternità! |
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