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Ho paura di scrivere. Scrivere equivale a dire qualcosa che si pensa e dire qualcosa che si pensa significa concretizzare il qualcosa. Ora lo so. Un dubbio, un pensiero, un’ipotesi, un’osservazione. Una effimera coincidenza della mente con l’ambiente esterno: esternarla con una parola, detta o scritta, significa renderla reale. Non più coincidenza, non più eventualità estinguibile in maniera relativamente veloce. Nel momento stesso in cui diciamo qualcosa, che sia a noi stessi, ad un altro, a pochi altri o a molti altri, inevitabilmente cadremo nel circolo della fissazione. Personalmente ho sempre interposto fra me e gli altri soprattutto, un marcato limite del silenzio.
Per questa premura verso me stesso c’è chi mi definisce introverso. Suppongo anche che sia la parola più adatta per descrivere quelli come me, quelli che diffidano dal parlare di se stessi, quelli che tengono sotto chiave, con cura, il proprio intimo flusso di pensieri. Un tempo non ero così: anzi, credo di essere stato amato soprattutto per la mia socievolezza, per il mio basso concetto di privacy. Ma è stato molto tempo fa, quand’ero poco più che un fanciullo, e anche se ritengo di aver maturato piuttosto presto rispetto ai miei coetanei, non posso non ammettere che all’epoca c’era fondamentalmente ben poco da tenere nascosto. I guai sono cominciati nel momento in cui le mie esperienze si sono moltiplicate, con i miei primi errori importanti, le prime situazioni veramente sgradevoli. Parlo di quei momenti, di quei fatti che non accadono per colpa di chi ti circonda, non di quelli che influiscono sulla tua vita anche se non hai fatto nulla perché ciò accadesse. Parlo di quelli dove non hai scusanti, dove tu e il tuo libero arbitrio avete scelto, deciso per una via piuttosto che per un’altra. Sono situazioni comuni, un processo naturale che attraversa ogni essere umano, in qualsiasi parte del mondo. La differenza significativa suppongo stia nella gravità degli errori commessi, e nella capacità dell’individuo di imparare da essi. Ovviamente un’ubriacatura in compagnia con successiva punizione dei propri genitori è molto diversa da un’ubriacatura con successivo stupro di passante. Certo, essendo tutto relativo è anche vero che nel primo caso magari il soggetto non imparerà nulla, magari escogiterà il modo di continuare a bere senza farsi scoprire dalla famiglia e un giorno diventerà un alcolizzato che picchia la propria moglie, mentre magari nel secondo caso, il protagonista del reato verrà preso da sensi di colpa e pentimento tali da divenire il cosiddetto tipo di uomo che ogni donna vorrebbe sposare.
Per quanto mi riguarda posso dire che non mi sono mai macchiato di simili, orrendi crimini, non sono mai stato con una donna non consenziente, ma non posso nemmeno dirmi un santo. Mi piacerebbe che i miei errori si fossero limitati ad un esagerato ingerimento d’alcol e alla conseguente sgridata ma così non è stato. |
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